Contro il terrorismo, un’Unione più coesa

image_8La bomba assassina esplosa davanti al chiosco di Starbucks e l’ordigno deflagrato, a pochi passi di lì, tra i banchi numero 9 e 10 dell’aeroporto di Zaventem. E, poco dopo, i disastri – e tante altre vittime – provocati alla stazione del metro di Maelbeek, a qualche centinaio di metri dalla Commissione europea. Il 22 marzo sarà ricordato per gli attacchi a Bruxelles, “cuore dell’Europa”.

È l’assalto barbaro a un’Europa simbolo di pace e di integrazione: un percorso politico in salita, carico di ostacoli e di limiti, ma anche garanzia – per chi ha il coraggio e l’onestà di riconoscerlo – di convivenza pacifica tra popoli e Stati, baluardo di democrazia e diritti, di integrazione delle economie a vantaggio di cittadini, consumatori e imprese. Una Ue che cerca, secondo il criterio della solidarietà, vie originali (benché non sempre o non ancora efficaci) per far fronte alle ondate migratorie, alla preservazione dell’ambiente, alla costruzione di una “unione dell’energia”… Una Unione che fa studiare i giovani all’estero (e la mente corre purtroppo al recente incidente stradale in Spagna che ha coinvolto diversi giovani europei, fra cui 7 ragazze italiane); una Ue primo donatore mondiale per gli aiuti umanitari e primo attore globale per la cooperazione internazionale, la quale – sia detto per inciso – è la sola strada possibile per lo sviluppo di Africa e Oriente asiatico e dunque per prevenire le migrazioni.

La giustizia farà il suo corso per fare luce sugli attentati del 22 marzo. I commentatori dicono e diranno la loro su come agire per contrastare il terrorismo senza confini (tra loro si annidano anche tanti profeti del giorno dopo, quelli che hanno sempre le ricette pronte per risolvere ogni problema). Alcuni politici di bassa levatura umana già ci fanno campagna elettorale… Ma restano alcune grandi domande: cosa genera questa violenza cieca? Cosa spinge dei giovani, in tanti casi cittadini europei, a seminare nel mondo distruzione e morte? Lo stile di vita e i “valori” del cosiddetto mondo occidentale sono così poco attrattivi da lasciarsi scappare questi giovani, attratti dalle sirene del Califfato?

Appare chiaro che se la violenza va combattuta sul campo (con un’azione concertata proprio a livello europeo tra forze dell’ordine, magistratura e, soprattutto, intelligence) e con mano ferma, è altrettanto chiaro che questo non basta. Le società moderne, democratiche e inclusive, aperte, multietniche, multireligiose, sono sicuramente la prospettiva nella quale, volenti o nolenti, ci stiamo muovendo; al contempo esse mostrano fragilità strutturali – comprese le devianze dei cattivi predicatori e dei loro solerti e violenti allievi – che richiedono un di più di riflessione identitaria, di costruzione di valori condivisi, di predisposizione al dialogo, di pazienza, di volontà d’incontro. Società aperte ma solide, che si edificano a partire dal compito educativo della famiglia e della scuola; che coltivano un’opinione pubblica informata prima che allarmata; che scommettono su una condivisione dei diritti e dei doveri che vada di pari passo con l’adesione a un forte senso civico e a una vocazione democratica e partecipativa diffusa…

Forse il discorso si fa troppo ampio. In questi giorni prevale la mestizia per quanto sperimentato a Bruxelles. Ma solo rimuovendo le macerie – dalle strade e dai cuori – si costruisce una casa nuova, fondata sulla roccia. Anche in tal senso la presenza cristiana nel vecchio continente, accanto a quella di altre fedi religiose, dovrebbe essere un valore aggiunto. Un compito al quale i cristiani – sollecitati dagli insegnamenti di Papa Francesco e dei suoi predecessori – non possono sottrarsi.

di Gianni Borsa – Corrispondente dell’Agenzia Sir da Bruxelles. Dirige «Impegno», pubblicazione della Fondazione «Don Primo Mazzolari». Per l’Azione cattolica italiana dirige la rivista «Segno».